Brasile a tutto export. Venduti 1.086 calciatori

09/01/2009

Un mese fa il presidente del Vietnam in persona, Nguyen Minh Triet, ha firmato il documento che autorizza la concessione della cittadinanza vietnamita al signor Fabio Dos Santos, 30 anni, nato in Brasile, professione calciatore. Fabio, un portiere, gioca nella squadra del Dong Tam Long An e presto diventerà una colonna della Nazionale del Vietnam. Brasile, il Paese che fabbrica calciatori. La federcalcio verdeoro (Cbf) ha divulgato un dato impressionante: nel 2007 sono stati esportati 1.086 giocatori di pallone, cifra record, mai era stato sfondato il muro delle mille cessioni in un anno.

Secondo gli analisti, l’export del futebol ha inciso sul prodotto interno lordo (pil) per il 4,8%. Si tenga conto che quella brasiliana è un’economia in ascesa, cresciuta del 3,7% nel 2006 e del 5,3% nel 2007.

La locomotiva calcio ha travolto i mercati ortofrutticoli. Tre anni fa il Brasile incassò 159 milioni di dollari per la vendita all’estero di 857 calciatori e 33 milioni per l’esportazione di 64 milioni di tonnellate di banane. Nel 2006 grano, papayas, mele e aragoste hanno contribuito alla bilancia dei pagamenti in misura minore rispetto ai calciatori.

INDONESIA Due giornalisti, Fernando Duarte e Claudia Silva Jacobs, hanno scritto un libro, «Futebol Exportaçao », dove si spiega che il motore di tutto ciò è la fame. Tolti Kakà, Ronaldinho e gli altri (non moltissimi) che intascano milioni di euro, la massa di brasiliani erranti è formata da sconosciuti che vanno a incassare ingaggi da 20 mila dollari in Corea del Nord o a Trinidad, perché questi soldi in patria se li sognerebbero. Nel libro si racconta l’odissea di Kleber Santos, difensore che un giorno del 2001 lasciò una squadra minore di Rio per trasferirsi in Indonesia, nel Persela Lamongan. «All’inizio — ha raccontato Kleber — mi chiedevo dove fossi finito, poi ho imparato la lingua guardando la tv. Ora possiedo una casa e una bella auto, due cose che a Rio non potevo permettermi. Dimenticavo, qui si gioca un calcio molto fisico… Ma che importa». Kleber Santos l’apripista: oggi i brasiliani del calcio indonesiano sono una cinquantina. Il Far East e poi le Far Oer.

Di recente sei brasiliani hanno onorato il campionato che si disputa sulle sperdute e gelide isole oltre la Scozia: Dos Santos nel B36, Fabio Vieira, Flavio Lucio Wellington e Clayton nel B71 Sandur, Anderson Castilho nell’Nsi Runavik. Alle Far Oer il professionismo calcistico non esiste, questi «brasileiros» hanno arrotondato gli stipendi con lavoretti collaterali, nel ramo pesca in primis.

PERCORSI Il professor universitario Carlos Henrique, autore di uno studio sul tema, ha spiegato come funziona l’industria del futebol: «A Rio e a San Paolo abbondano piccole società o scuole calcio costituite da procuratori e mediatori. A tali club non interessa né partecipare né vincere, il loro scopo è scovare talenti e lucrare denaro. Sui trasferimenti in Europa incassano notevoli percentuali». Piazzisti di aspiranti campioni. Per ogni giovane che ce la fa a sfondare, centinaia di ragazzini vengono illusi, testati come cavie da laboratorio e (ri)scaricati nelle favelas da cui tanti provengono.

BLATTER PREOCCUPATO Nell’infografica abbiamo riportato sette casi di brasiliani che giocano in altre nazionali. Passi per i «portoghesi » Deco e Pepe, non fosse altro per comunanza linguistica, ma vogliamo parlare del «croato» Eduardo da Silva o del «giapponese» Alex Santos, che ha ottenuto la nippo-cittadinanza nel tempo record di 8 mesi? Anche Sepp Blatter, presidente della Fifa, si è accorto del problema delle allegre naturalizzazioni a ritmo di samba: «Se non fermiamo questa tendenza, un giorno avremo nazionali formate soltanto da brasiliani».

Fonte:
La Gazzetta dello Sport