Brasile 2014: i conti non tornano?
08/01/2014
Il mondo ha gli occhi puntati sul Brasile da molto tempo. Il 2014 è atteso non solo dai torcedores del prossimo mondiale brasiliano, ma anche da quelli che si chiedono se il paese ha finalmente raggiunto il “futuro” di cui hanno sempre sentito parlare. «Sono un gruppo di paesi che possiedono un potenziale economico con cui potranno diventare nel 2050 economie dominatrici».
E’ così che l’ex presidente della Goldman Sachs Asset Management, Jim O’Neill, ha chiamato nel 2001 i Brics, sigla da lui stesso coniata per abbreviare i nomi dei mercati emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. O’Neill non usa più la sigla Bric, bensì Mint per abbreviare però Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, i paesi dove l’insaziabile speculazione finanziaria mondiale si muove oggi per investire i propri capitali infischiandosi sempre più dell’economia reale. Nel 2014 le economie di Brasile e India riceveranno probabilmente un abbassamento dei loro rating economici. A farlo per primo sarà probabilmente la Standard & Poor’s (S&P), una delle agenzie di rating economico che si arroga il diritto di giudicare le economie dei paesi. L’abbassamento del rating dovrebbe avvenire prima dell’elezione presidenziale del cinque ottobre, quando la presidente del Brasile Dilma Rousseff vorrà essere rieletta.
La S&P, anni fa, osannava il miracolo economico dell’ex presidente Lula, ma ha poi attaccato l’equipe economica della Rousseff. Ne sa qualcosa il competente genovese Guido Mantega, il ministro dell’economia del governo Rousseff, la quale rispose sdegnosa al settimanale The Economist che le suggeriva di dimettere il ministro. La brasiliana ribatté per le rime anche agli occulti leaders della speculazione finanziaria che ormai scorazza per il mondo senza tenere conto dell’economia reale e dei lavoratori. Rousseff ha osato forse più di Lula nel condurre l’economia del Brasile. L’ex presidente nominò l’ex direttore mondiale del BankBoston, Henrique Meirelles, alla guida del Banco Central. Lula lo nominò a Washington, dopo avere incontrato il 10 dicembre del 2002 l’ex presidente Bush. Due giorni prima, Lula aveva avuto dei colloqui con la delegazione economica del Fmi in visita in Brasile per rivedere l’accordo stipulato a settembre dello stesso anno per il prestito di 30 miliardi di dollari. L’economista Rousseff ha favorito nel suo mandato più l’economia reale che finanziaria, soprattutto quella diretta a Wall Street, dove sono rimasti molto seccati quando il Selic, il tasso che regola il credito in Brasile, raggiunse nel 2013 il 7,5 per cento. Un fatto storico nel paese in cui i tassi d’interesse bancari sono stati fissati sempre a livelli disumani.
L’obiettivo della Rousseff era quello di spingere il credito bancario verso l’economia produttiva e non solo nel consumo. Ma le banche non hanno accolto il messaggio e non c’è da stupirsi se la finanza internazionale ha poi attaccato l’equipe economica brasiliana. Per il 2014 le previsioni economiche nel paese del futuro non sono chiare. Non lo sono neanche a centinaia di lavoratori della General Motors, i quali sono stati licenziati con un telegramma ricevuto a dicembre due giorni prima della fine dell’anno. E’ stato un brutto augurio di fine d’anno per i metalmeccanici brasiliani, i quali non sapranno ora come pagare i debiti contratti con le banche per acquistare case, auto, ma anche telefonini ed elettrodomestici.
Già il consumismo. Quello promosso soprattutto dall’ex governo Lula, il quale adottò una politica economica anticiclica per affrontare la crisi mondiale iniziata nel 2008 negli Stati Uniti. Quell’anno il governo Lula finanziò il consumo per mantenere viva l’economia, ma anche per riscuotere tributi con cui avrebbe alimentato il Bndes, la banca pubblica di sviluppo, il motore dell’economia brasiliana. Il Bndes fa quello che dovrebbero sviluppare nell’economia reale le altre banche. Sotto il governo dell’ex presidente Cardoso, il Bndes finanziò le acquisizioni da parte di stranieri delle imprese pubbliche, mentre nell’era Lula ha finanziato non solo il consumo, ma anche l’industria immobiliare, automobilistica e le infrastrutture sportive dei prossimi mega-eventi sportivi. Il boom economico stimolato dal governo Lula è servito a mantenere in vita anche le multinazionali straniere, le quali, lucrando nel “paese del futuro”, hanno inviato immense ricchezze verso le loro matrici che si trovavano in difficoltà a causa di una crisi nata nei paesi ricchi.
I conti oggi non tornano più al Brasile, il quali esporta meno commodity a causa della crisi nel mondo. Rousseff, come affermano i sondaggi brasiliani, sarà probabilmente rieletta, ma nel suo prossimo mandato dovrà fare i conti con un’economia che paga il costo del precedente boom economico, qualcosa che impensierisce non solo i brasiliani, i quali si chiedono come sarà l’economia del paese dopo lo svolgimento del mondiale di calcio e le Olimpiadi previste nel 2016 a Rio de Janeiro.
Fonte:
Il Fatto