Brasil: 2021 recupera as perdas de 2020, mas a inflação está acima da meta.
08/01/2022
Artigo disponível exclusivamente em italiano.
La crisi legata agli effetti del coronavirus ha colto l’economia brasiliana in una fase di lento recupero dalla precedente fase recessiva del 2015-2016. Dopo tre anni di timida espansione, il PIL alla fine del 2019 si attestava sui livelli registrati nel 2012; per gli effetti della pandemia nel 2020 il PIL si è contratto del 3,9%, meno di quanto preventivato dai più importanti analisti e dalle istituzioni finanziarie internazionali (il FMI prevedeva a metà anno un -9,1%) e meno di tutti gli altri paesi dell’America Latina (con l’unica eccezione del Paraguay, il cui PIL è il 2% di quello brasiliano).
Il recupero a ‘V’ dell’attività economica, iniziato nel terzo trimestre dell’anno scorso, porterà quest’anno l’economia a crescere a un ritmo un poco al di sopra del 4,5%%. Detto con altre parole, grazie ai risultati acquisiti nel corso dell’anno e con la contabilità relativa all’ultimo trimestre che sarà disponibile solo a febbraio 2022, è ormai certo che nel 2021 saranno completamente recuperate le perdite reali registrate nel corso del 2020 a causa degli effetti della pandemia.
Tale risultato è stato sostenuto: (i) sul fronte esterno dal progressivo recupero del commercio mondiale e dei principali partner commerciali brasiliani (Cina e Stati Uniti), recupero di cui hanno beneficiato le esportazioni brasiliane; (ii) sul fronte interno dalle politiche espansive messe in atto, in funzione anticiclica, sia dalla Banca Centrale, che ha abbassato il tasso di riferimento al minimo storico del 2% e ha sostenuto il credito interno con ingenti immissioni di liquidità, sia dal Governo, che ha messo in campo iniziative di sostegno per quasi 10 punti percentuali del PIL, tra cui il “corona-voucher”. L’assegno emergenziale di natura straordinaria a supporto dei lavoratori informali e dei sottoccupati è stato distribuito in due versioni: nel 2020 è stato erogato a 68 milioni di persone con un importo di 600 reais mensili (il doppio, 1.200 reais, per le donne capofamiglia) per sei mesi e con un importo dimezzato per ulteriori tre mesi; nel 2021 è stato re-introdotto ad aprile per sette mesi a favore di 46 milioni di persone con un valore di 250 reais mensili.
La crisi legata al coronavirus ha avuto impatti significativi nel mercato del lavoro, già significativamente influenzato dalla debolezza dell’economia a partire dal 2014. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 14,9% nel marzo 2021 (dall’11,1% di dicembre 2019 prima della pandemia), ma nel corso dell’anno si è progressivamente ridotto fino al 12,6% in settembre, quando 13,5 milioni di persone risultavano disoccupate. Il tasso di partecipazione alla forza di lavoro è in recupero sia per la diminuzione delle persone scoraggiate (oggi ancora pari a 5,1 milioni) sia per l’aumento del numero degli occupati, saliti nei primi nove mesi dell’anno di 5,8 milioni (a un totale di 93 milioni) Tra questi ultimi, d’altra parte, in settembre si è registrato il più alto valore di sempre sia per i lavoratori sottoccupati per insufficiente numero di ore lavorate (7,8 milioni) sia per i lavoratori autonomi (25,5 milioni), categoria che riceve i redditi più bassi. Ciò spiega perché il salario reale medio (2.459 reais) si è contratto dell’11,1% rispetto allo stesso periodo del 2020.
Le prospettive di crescita per il 2022 sono molto più contenute rispetto alla dinamica descritta per l’intero anno in corso e convergono verso uno sviluppo dell’economia al di sotto del potenziale strutturale pre-pandemia (2%-2,5%). Dopo un primo trimestre del 2021 al di sopra delle attese, l’attività economica si è indebolita nel corso del secondo e del terzo trimestre dell’anno e continua a non brillare nel corso del quarto. Nonostante si sia registrata una doppia variazione negativa del PIL su base trimestrale tra aprile e settembre – una situazione che a livello statistico viene definita come una recessione tecnica – gli analisti hanno preferito parlare in via cautelativa di PIL stagnante, ma le previsioni per il 2022 sono state ridotte verso tassi di crescita che nelle stime più ottimistiche si aggirano intorno all’1%.
Il peggioramento delle condizioni finanziarie è tra i fattori che maggiormente condizioneranno l’attività economica a breve termine. Tutti gli analisti concordano che nel 2022 la domanda interna sarà condizionata da inflazione elevata (che colpisce in particolare modo il potere d’acquisto delle famiglie a più basso reddito), mercato del lavoro ancora in via di recupero, condizioni finanziarie considerevolmente più restrittive, rischi fiscali e incertezza politica. Inoltre, sul rallentamento dell’economia nel 2022 peseranno gli effetti di un ambiente internazionale meno favorevole alle economie emergenti: (i) la dinamica del commercio globale ha già toccato il suo picco e sta decelerando; (ii) l’economia cinese mostra segni di frenata; (iii) la FED sta ritirando progressivamente gli stimoli monetari messi in campo nel corso della pandemia, rafforzando il dollaro a discapito dell’export dei paesi emergenti.
Come affermato dallo stesso ministro dell’Economia, Paulo Guedes, il problema più grande del Brasile non è più (auspicabilmente) il Covid-19, ma piuttosto il contenimento dell’inflazione che, in crescita dal minimo dal 1998 di maggio 2020 (1,78%), ha superato a partire da marzo 2021 il limite superiore della fascia obiettivo della Banca centrale per nove mesi consecutivi e ha toccato nel corso del passato mese di novembre il massimo da novembre 2003 (10,74%, con i combustibili al 52,8%). Gli operatori di mercato si attendono per tutto il 2022 un tasso di inflazione al consumo al di sopra della banda obiettivo del Banco Central do Brasil. L’autorità monetaria da marzo ha, quindi, iniziato una stretta che ha portato finora a sette aumenti del tasso ufficiale SELIC dal già citato 2,0% (deciso ad agosto 2020) al 9,25% di dicembre. La normalizzazione della politica monetaria nelle intenzioni del COPOM continuerà nel 2022 fino a un livello significativamente recessivo tra l’11% e il 12%, peggiorando ulteriormente le condizioni finanziarie nel paese.
L’inflazione è il fattore che ha maggiormente contribuito a migliorare nel 2021 i saldi di finanza pubblica. Lo sforzo fiscale messo in campo dal Governo per mitigare gli effetti della pandemia aveva portato il deficit primario e il debito pubblico lordo in rapporto al PIL alla fine del 2020 rispettivamente al 9,4% (13,6% il deficit complessivo) e all’88,8%. Tuttavia, nei primi dieci mesi di quest’anno gli indicatori di finanza pubblica sono migliorati sensibilmente; a ottobre 2021: (i) per la prima volta dal 2014 è stato registrato il terzo avanzo primario mensile consecutivo; (ii) il deficit primario accumulato su dodici mesi è sceso allo 0,24% del PIL (a maggio era a 5,4%); (iii) il rapporto debito pubblico lordo su PIL si è confermato per il secondo mese consecutivo all’82,9%.
Il tema del consolidamento delle finanze pubbliche, già presente nel dibattito di politica economica prima della pandemia, resta al centro dell’attenzione degli economisti e analisti nazionali, ma la percezione da parte degli operatori di mercato di un nuovo incremento del rischio fiscale, in seguito alla modifica della regola costituzionale che limitava la spesa pubblica, ha peggiorato ulteriormente le condizioni finanziarie e, quindi, le prospettive di crescita del paese.
Le turbolenze sui mercati finanziari (in particolare sul mercato dei cambi e nella Borsa valori di San Paolo) causate dalla nuova percezione di un rischio fiscale in aumento vengono alimentate anche dalla sensazione di un’accresciuta incertezza politica in vista delle elezioni presidenziali che si terranno a ottobre 2022. Il processo di implementazione delle riforme strutturali, che erano nel programma di governo di inizio legislatura, ha rallentato negli ultimi mesi e ai più appare ormai molto improbabile l’approvazione della riforma amministrativa e di una riforma fiscale completa. Il contesto di incertezza politica è ulteriormente complicato dall’attuale polarizzazione dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica su due candidature “estreme”, quelle dell’ex-presidente Lula e del presidente uscente Bolsonaro non gradite alla comunità imprenditoriale e che registrano entrambe la disapprovazione da parte di una fetta importante della popolazione brasiliana. L’apertura di una terza via più moderata rispetto ai due candidati menzionati ha trovato sinora terreno fertile nelle pre-candidature di Sergio Moro e João Doria. Va, tuttavia, notato che, affinché il centro possa avere una possibilità di andare anche solo al ballottaggio, è necessario un dialogo tra le numerose figure che intendono andare a occupare lo spazio lasciato libero dai due attuali favoriti.
Per il paese si prospetta nel breve termine un ritorno al passato con bassa crescita e inflazione elevata in un contesto di incertezza politica.
Autore: Alessandro Gambini – rappresentante della Banca D’Italia in Brasile – il 15.12.2021