Bce ferma sui tassi, Londra li alza
09/01/2009
La Banca centrale europea prende tempo. Attesa per la decisione della Federal Reserve.
La paura della bolla immobiliare spinge la Gran Bretagna a portare il costo del denaro al 4,75%.
Sono sempre troppe le incognite per l’economia europea nel giorno in cui il petrolio ha sfondato di nuovo quota 44 dollari al barile. Così, com’era largamente atteso dai mercati, la Bce ha deciso per l’immobilismo lasciando il costo del denaro fermo al 2%. I 17 consiglieri della Banca centrale e il governatore francese Jean-Claude Trichet, che hanno interrotto ieri la pausa estiva lontana dall’Eurotower di Francoforte riunendosi in videoconferenza, hanno preferito attendere, anche se il quadro intorno si sta muovendo.
LA SCELTA DI LONDRA. Sempre ieri, la Bank of England ha infatti deciso di innalzare il tasso di sconto di un quarto di punto portandolo al 4,75% con il quinto intervento da novembre. La strategia dell’istituto londinese guidato da Mervyn King è chiara: tenere sotto controllo la crescita della Gran Bretagna che mostra segnali di dinamismo ben diversi di quelli del resto dell’Europa. E raffreddare il pericolo di un’esplosione della bolla immobiliare.
Dall’altra parte dell’Oceano il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan deve affrontare variabili simili. Ed è per questo che al rialzo del 30 giugno di un quarto di punto, che ha portato con la prima mossa restrittiva dopo quattro anni i Fed Funds a 1,25%, se ne aggiungerà con ogni probabilità un altro durante l’incontro della Fed in calendario per martedì prossimo. L’attesa è di un altro quarto di punto. Anche perché le richieste di sussidi di disoccupazione negli Usa, più basse delle attese, in questi giorni hanno dato un altro concreto segnale della reattività della locomotiva americana.
L’ATTESA DELLA BCE. Come interpretare dunque l’immobilismo della Bce che non muove i tassi dal 5 giugno del 2003 (quando li abbassò di mezzo punto in una sola seduta)? Il rialzo dei tassi è una manovra di politica monetaria restrittiva, tende cioè a frenare gli sbalzi dell’economia. Trichet si trova quindi ad affrontare almeno due ordini di problemi. I dodici Paesi di Eurolandia, dopo un 2003 al palo con una crescita del Prodotto interno lordo solo dello 0,8%, hanno mostrato dei segnali di ripresa nel primo trimestre del 2004, con una crescita dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Un buon inizio ma non un grande balzo, soprattutto se confrontato con i numeri di Usa, India, Cina e Giappone. Il pericolo, di fronte a un’Europa che non concede segnali certi di ripresa, potrebbe essere quello di tagliare le gambe a una prima rincorsa ancora troppo flebile.
L’INFLAZIONE. Il problema dell’intensità della crescita si intreccia con un altro indicatore da tenere sotto controllo: l’inflazione. La corsa dei prezzi, a causa soprattutto del caro-petrolio, in Europa ha già superato le attese. Secondo i dati provvisori dell’Eurostat a luglio, sempre nei dodici Paesi di Eurolandia, ha toccato il 2,4%. L’obiettivo della Bce era di tenerla sotto la soglia del 2%. In questo senso, Trichet avrebbe gli estremi per intervenire con una manovra restrittiva. Anche se per Francoforte si tratta di una spinta inflazionistica «momentanea». Comunque il rischio di un intervento, oltre a frenare una ripresa incerta, potrebbe essere quello di non lasciare altre frecce all’arco della Bce qualora l’economia dovesse ripartire portandosi dietro i prezzi. Un quadro che l’istituto vuole assolutamente evitare avendo come primo obiettivo quello di tenere sotto stretto controllo proprio l’inflazione.
Corriere della Sera
6/8/2004