Banca Nazionale delle Liti
09/01/2009
Chi sono, cosa vogliono e quanto sono disposti a giocarsi i protagonisti dello scontro bancario che ha spaccato in due il mondo imprenditoriale italiano. E una tregua? Possibile, grazie allo statuto.
«Roma deve restare un centro finanziario importante. Ecco perché è essenziale che le banche romane diventino poli aggreganti». Il costruttore ed editore Francesco Gaetano Caltagirone è convinto che ci siano tutte le condizioni per agire. «Esistono mezzi, uomini, competenze, possibilità di sinergie per realizzare questo obiettivo» ha assicurato agli industriali della capitale. E a riprova delle proprie convinzioni si è lanciato in un formidabile assalto, trascinando anche altri imprenditori. Obiettivo: conquistare la Banca nazionale del lavoro, presieduta da Luigi Abete e controllata da un gruppo di soci con il 28,5 per cento delle azioni.
Solo che la strada è risultata in salita. Le banche potenzialmente interessate al progetto sono rimaste alla finestra, come il Monte dei Paschi di Siena, già azionista della Bnl con il 4,6 per cento, e la Popolare di Vicenza (3,4). Oppure si sono affrettate a far sapere di non essere minimamente coinvolte, come la Capitalia guidata da Cesare Geronzi e Matteo Arpe. La Consob, commissione che vigila sulla borsa, ha acceso i fari. La Banca d’Italia è sfuggita al tentativo di essere arruolata di fatto in uno dei diversi eserciti in campo e ha lasciato intendere che vedrebbe di buon occhio un accordo tra i protagonisti dello scontro prima dell’assemblea dei soci della prossima primavera. E così l’offensiva, invece di avere il passo della guerra lampo, è diventata una guerra di trincea.
Come finirà? Bisogna ricordare che la Bnl è rimasta una delle poche grandi banche non coinvolte in matrimoni e fusioni. Fino al 2003 il Monte dei Paschi di Siena, controllato dalla omonima fondazione, aveva messo a punto un progetto. Ma alla fine ha prevalso un’altra soluzione: il colosso spagnolo Banco de Bilbao Vizcaya Argentaria, con il 14,9 per cento, le Generali con l’8,5 per cento e la Dorint dell’imprenditore Diego Della Valle con il 5 per cento hanno firmato un patto di sindacato che controlla il 28,5 per cento della banca, sostiene un progetto di sviluppo per ora senza matrimoni e appoggia la presidenza di Luigi Abete. Gli spagnoli in realtà avrebbero desiderato possedere quote maggiori. Ma la Banca d’Italia ha finora frenato questa ambizione.
Fuori dal patto sono rimasti altri, forti soci della Bnl. E tra questi molti non condividono le strategie di Abete: il Monte dei Paschi, la Popolare Vicentina, la Hopa di Emilio Gnutti, oltre a un gruppo di imprenditori. Hanno poi dato vita a un contropatto Caltagirone (già azionista del Mps e sponsor del progetto di matrimonio tra l’istituto senese e la Bnl), costruttori come Giuseppe Statuto e Danilo Coppola e il gruppo che fa capo a Vito Bonsignore.
Lo scontro non sarebbe però arrivato al culmine se il consiglio di amministrazione della Bnl non avesse lanciato un aumento di capitale da 1,2 miliardi di euro. Ufficialmente è stato deciso per rafforzare il patrimonio della banca. Ma i «contropattisti» hanno considerato la mossa come una sfida: «Pensavano che non avremmo avuto le risorse per farvi fronte» accusa, coperto dall’anonimato, uno dei soci Bnl. Così, è partita la corsa ai titoli. E alla fine anche Stefano Ricucci, immobiliarista romano azionista della Bnl e che più volte aveva tentato di entrare nell’attuale gruppo di governo, ha deciso di portare il suo 5 per cento nel contropatto. Il totale sindacato dagli antagonisti di Abete, prima dell’aumento di capitale, ha toccato così il 24,2 per cento. Senza contare le quote non conferite all’accordo e le azioni dell’imprenditore argentino, Franco Macri, anche lui vicino a Caltagirone.
Risultato: di fatto i due gruppi si equivalgono. Nessuno per ora ha superato ufficialmente il 30 per cento, soglia oltre la quale scatterebbe l’obbligo di un’offerta pubblica di acquisto. Ma se ciò accadesse, l’opa dovrebbe essere autorizzata dalla Banca d’Italia e sicuramente sarebbe, oltre che onerosa, di difficile attuazione: troppi titoli sono in mano a gruppi di avversari o di giocatori in attesa di vedere come finisce la partita. E sarebbe un miracolo raggiungere le quote di controllo sperate.
Un’impasse, insomma. Come finirà? Difficile che la Banca d’Italia metta fuori gioco gli immobiliaristi perché, presi tutti insieme, equivalgono a un imprenditore non bancario che controlla più del 15 per cento di un’azienda di credito. Lo sperano i sostenitori di Abete e degli spagnoli, ma la giurisprudenza sul testo unico bancario non va in questa direzione.
Più facile è che scatti una mediazione per spingere gli azionisti a trovare un accordo. Magari partorendo, grazie alle caratteristiche dello statuto Bnl, un’alleanza industriale, piuttosto che una fusione, in cui trovi spazio senza perdere troppo le caratteristiche della senesità anche l’altro single del mondo del credito, cioè il Monte dei Paschi.
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