Aumentano le liti tra Stato e Regioni

09/01/2009

L’ultimo stop allo sconfinamento dello Stato nel territorio delle Regioni risale a pochi giorni fa, quando la Corte costituzionale ha bocciato il decreto legge 168/2004 che prevedeva un giro di vite sulla spesa pubblica locale determinando, secondo i giudici, «un’inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti». Ma questo è solo l’ultimo capitolo della querelle iniziata con la “vecchia” riforma del Titolo V della Costituzione, giocata sui confini della ripartizione per materia delle competenze legislative e che ha avuto una recrudescenza nel corso del 2005.

Di fronte a una riforma che ha generato in quattro anni un contenzioso di queste dimensioni – sono 408 le richieste di intervento ai giudici delle leggi e 164 gli accoglimenti – c’è da chiedersi l’effetto che la nuova devolution avrà sul braccio di ferro Stato-Regioni. Il destino sembra già segnato dall’ulteriore allargamento delle competenze regionali almeno inizialmente, cioè fino a quando il Senato federale, che potrebbe avere un effetto deflattivo, non entrerà a pieno regime.

Aggiornando i dati del contenzioso Stato-Regioni, si registra, nell’ultimo anno, un significativo aumento delle pronunce con le quali la Consulta, su segnalazione delle Regioni, ha censurato l’operato del Governo. Se tra il 2002, data di entrata in vigore della riforma, e il 2004 la Corte costituzionale aveva bocciato 49 leggi nazionali, negli ultimi 12 mesi la cifra è più che raddoppiata raggiungendo quota 108. Naturalmente, nello stesso periodo, il Governo non è rimasto con le mani in mano presentando 76 nuovi ricorsi contro le norme regionali.

Ma la differenza salta subito agli occhi: dalle 218 impugnazioni avanzate da Palazzo Chigi sono scaturite 56 pronunce di incostituzionalità, mentre superano quota 100 i verdetti di illegittimità sui 190 ricorsi presentati dalle Regioni. Un bilancio che dimostra come la periferia abbia meglio assimilato il dettato costituzionale di quanto non sia avvenuto per l’amministrazione centrale. Dalla rilevazione effettuata, inoltre, emerge che la vertenza sia più accesa di fronte ad amministrazioni gestite da una maggioranza politica di segno opposto. Sui ricorsi complessivamente presentati dagli enti locali, circa un terzo (60) sono stati promossi da Toscana ed Emilia-Romagna. E, dato ancora più interessante, delle 108 pronunce di incostituzionalità su atti del Governo, ben 54, vale a dire la metà esatta, sono giunte su sollecitazione di queste due Regioni. Viceversa le leggi toscane risultano anche le più bacchettate con 25 ricorsi subiti che hanno finora prodotto 12 sentenze di cui quattro di illegittimità.

Mentre il primato negativo di incostituzionalità spetta alla Calabria che è stata censurata sei volte su sei.
Per quanto riguarda, infine, le materie del contendere, Stato e Regioni si sono affrontate soprattutto sul terreno della finanza pubblica – dal federalismo fiscale ai finanziamenti statali – e della tutela di ambiente e beni culturali. Ma non solo. Una parte consistente del contenzioso costituzionale è infatti alimentato da ricorsi sui temi del governo del territorio, della salute e dell’attribuzione di funzioni amministrative.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
ANDREA MARIA CANDIDI
MARTA PARIS