Alitalia, riprende quota l’opzione Air France
09/01/2009
Tommaso Padoa-Schioppa inverte la rotta di e punta diritto su Parigi. La strada più percorribile dopo il fallimento della gara, il ministro per l’Economia l’ha lasciata intendere ieri durante un’audizione presso le commissioni trasporti di Camera e Senato, dove tuttavia ha messo le mani avanti spiegando che «la situazione è ancora fluida» e una scelta non è ancora stata fatta. Nella serata di ieri si è tenuto un vertice a palazzo Chigi con il premier Romano Prodi, il ministro del Tesoro, i sottosegretari Massimo Tononi e Enrico Letta e il ministro per i Trasporti, Alessandro Bianchi. Se ci sia stata fumata bianca non è dato saperlo, anche perché pare che Bianchi sperasse ancora in una ripresa dei contatti con la cordata italiana Intesa-AirOne.
Padoa–Schioppa ieri ha ammesso il flop della procedura di gara imbastita l’anno scorso. E nel chiedersi quale lezione il Governo abbia appreso da questa esperienza ha rivelato: «abbiamo imparato che compagnie internazionali come Air France e Lufthansa non hanno partecipato per via della situazione industriale di Alitalia, ma soprattutto perché avrebbero dovuto ufficializzare nei loro cda la partecipazione a questa gara, rivelando così i loro piani e con il rischio poi di non vincerla».
Il ministro ha poi annunciato che Alitalia nei prossimi giorni dovrà riprendere iniziative richieste dalla Consob ma che sinora sono rimaste sospese in attesa dell’esito della gara: l’approvazione delle linee guida di un piano industriale e, poichè ricorrono gli estremi per l’abbattimento del capitale a causa delle perdite, valutare l’opportunità di varare un aumento di capitale. Il cda dovrebbe compiere questi passi già mercoledì prossimo (sempre che l’accordo politico sulla soluzione Padoa-Schioppa fosse raggiunto), ma a quel punto dovrà recepire anche le dimissioni di Berardino Libonati, per il quale il Tesoro sta già cercando un sostituto.
Il ministro ha insistito nel mettere i puntini sulle «i» a proposito dell’autonomia della società che non è «il braccio secolare del Governo» e che ha interessi non coincidenti con quelli dell’azionista. E poi ha delineato quelle che a suo avviso sono le alternative rimaste: una cessione all’asta dei diritti di opzione del Tesoro sull’aumento di capitale al migliore offerente, che si aggiudicherebbe la società. È la strada più trasparente per l’Esecutivo, ma aprirebbe la via ai fondi locusta. «Non vogliamo vendere Alitalia a chiunque – ha chiosato – ma a soggetti che la rendeno parte di un progetto strategico».
L’ultima chance, se si esclude la liquidazione («non c’è intenzione di farla – ha detto – non ricorrono i requisiti né economici né giuridici»), resta la trattativa privata. Difficile da giustificare per un Governo: non è stata mai seguita in Italia negli ultimi 20 anni e rende complicato spiegare perché si invitano «uno o due soggetti» e non altri. Già, ma una scappatoia il ministro ce l’ha: e cioè lasciare che sia il nuovo management di Alitalia a ricercare un alleato industriale, un percorso che la società seguirebbe in completa autonomia e sul quale il Tesoro potrebbe al limite esprimere un gradimento. Se l’alleato piace, il ministero gli cede i diritti di opzione per l’aumento di capitale: lo Stato si diluirebbe al 5-10%, il nuovo socio – un vettore internazionale come AirFrance che è già alleata di Alitalia – entrerebbe nel capitale, forse dovrebbe lanciare un’Opa ma sicuramente non avrebbe l’obbligo di comprare dallo Stato i 400 milioni di Mengozzi bond. Padoa Schioppa ha ammesso che la precedente gara ha evidenziato «criticità» e che per poter avviare la trattativa privata «alcune condizioni per noi prima irrinunciabili ora dovranno essere cambiate». Tra queste l’attivazione di ammortizzatori sociali (leggi cassa integrazione), la soluzione del nodo Az Service, con i suoi contratti fuori mercato e la ridondanza di personale, la riduzione delle penali. Peccato che queste fossero alcune delle condizioni chiave (eccetto la negoziazione con i sindacati e la deroga ai limiti antitrust) chieste da AirOne e da Intesa e sulle quali il ministero ha risposto picche nella bozza di contratto causando il loro ritiro dalla gara. Perché prima erano un muro insormontabile e oggi invece possono essere superate? E ancora, ci si chiede, se fare otto mesi di gara, con spese a carico dei concorrenti e sul contribuente, fosse davvero uno scotto da pagare per poi poter avere le mani libere e negoziare direttamente con AirFrance.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
Laura Serafini