Al via il G-7 «allargato» agli emergenti
09/01/2009
Le strategie mondiali / Il vertice dei ministri finanziari oggi a Londra
LONDRA • La star del G-7 di Londra è Nelson Mandela, i veri protagonisti sono i ministri finanziari di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, che domattina faranno il breakfast con i loro colleghi dei sette grandi nella residenza del cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown. A sottolineare dove sta l’interesse più pressante del G-7, la delegazione cinese è invitata anche a colazione, ore 13 e 15, nella sede ufficiale degli incontri a Lancaster House. «Può darsi — afferma il capo economista di Goldman Sachs, Jim O’Neill, da tempo sostenitore della necessità di allargare il G-7 ai Paesi emergenti più importanti, i cosiddetti Brics, dalle loro iniziali — che l’incontro di Londra si risolva in una chiacchierata amichevole e in questo caso non avrebbe conseguenze per i mercati finanziari». Tuttavia, sostiene O’Neill, la presenza dei Brics è importante perché riconosce che il • G-7 non è più il “club” ottimale per gestire l’economia mondiale: e cita l’esempio dei problemi energetici, dove è impossibile non tenere conto del forte aumento della domanda in Cina e India. Inoltre, potrebbe portare a cambiamenti nella politica dei cambi che implichino un aggiustamento del dollaro su base più ampia facilitando perciò il ribilanciamento degli squilibri globali, soprattutto il deficit di parte corrente Usa.
Il riconoscimento dell’importanza dei Brics va ricondotto alla possibilità, secondo calcoli della banca d’investimento americana, che entro il 2050 il Pil combinato di Brasile, Russia, India e Cina superi quello del G-7.
La nuova configurazione del G-7 di Londra, o almeno di qualche sessione, conferma del resto una mutazione in atto da tempo e che è stata sollecitata anche da altri osservatori: e cioè l’evoluzione del G-7 in un gruppo più allargato, accettando che certe politiche globali, per essere efficaci, devono poter contare sul coinvolgimento dei Paesi emergenti più importanti. Era stata questa la ratio dietro la creazione del G-20, nel 1999, dopo le crisi finanziarie di Asia e Russia, un gruppo fortemente voluto soprattutto dagli Stati Uniti, anche per contrastare il peso, sproporzionato a quello delle economie, degli europei nel G-7, e per dare spazio a partner strategicamente importanti.
Ma se il G-20 ha continuato a vivere di vita propria, suscitando qualche interesse solo in presenza di presidenze di turno molto attive, come quella canadese o, l’anno scorso, quella tedesca, si sta assistendo invece a un embrione di geometria variabile del G-7. Se la Russia, pienamente incorporata nel gruppo a livello di capi di Stato per il suo peso politico e nucleare, è rimasta sempre un corpo un po’ estraneo nelle discussioni finanziarie, la Cina è ormai da un paio di incontri un protagonista attivo. E non certamente uno che intende farsi imporre le scelte dai sette, come si sta dimostrando in materia di cambi. Anche ieri, alla vigilia dell’incontro di Londra, un portavoce del Governo cinese ha risposto picche all’iniziativa del Senato Usa per imporre dazi all’export di Pechino se lo yuan non verrà slegato dal dollaro entro sei mesi. «Non è la strada giusta», ha detto seccamente. Anche gli altri non intendono far la parte dei semplici comprimari. Il ministro delle Finanze indiano, Shri Chidambaram, ha dichiarato che il suo Paese presenterà ai sette una richiesta di accesso ai loro mercati.
Per l’Europa, l’allargamento, seppur parziale, del G-7 non è un elemento da sottovalutare, soprattutto in tempi di crescita asfittica e che, secondo le stime che presenterà ai sette il Fondo monetario, si ridurrà di uno 0,3 nel 2005 e dello 0,2 nel 2006 rispetto alle previsioni, già modeste, di settembre. Non nel senso di contrastare l’apertura ai Brics, ma di cercare una maggior interazione con le loro economie. «Il ruolo europeo in questi Paesi — dice Paolo Cuccia, responsabile in Italia dell’investment banking di Abn-Amro, banca olandese con una vasta presenza nei Brics — non è debole per quanto riguarda l’interscambio commerciale, ma l’Europa, e in particolare l’Italia, pesano poco per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti, e questo alla lunga può influenzare negativamente anche la bilancia commerciale».
Il Sole 24 Ore
sezione: MONDO data: 2005-02-04 – pag: 4